La riforma costituzionale del "taglio dei parlamentari" è senza dubbio
la vittoria degli anticasta, vittoria disonorata di una battaglia che si
è aperta in una data storica precisa: il 2007. Il 2007 è l'anno di tre
fatti politici estremamente rivelanti: l'uscita a maggio del libro "La
Casta" a firma di due giornalisti del principale quotidiano italiano,
Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella del Corriere della Sera; la nascita
del M5S come idea politica a seguito del Vaffa Day di Beppe Grillo a
Bologna l'8 settembre; la chiusura di due partiti come i Democratici di
Sinistra e La Margherita avvenuta formalmente il 14 ottobre con Walter
Veltroni che stravince le primarie fondative del Partito Democratico,
fatto storico che vissi in prima persona essendomi candidato a sfidarlo
arrivando alla fine quarto tra i cinque aspiranti leader.
Proprio
le primarie del Pd del 14 ottobre 2007, anche se apparentemente meno
dirompenti del libro di Rizzo e Stella o del V-Day di Grillo, sul piano
storico ebbero in effetti una componente deflagrante che pochi hanno
studiato e che ha condotto in realtà molto rapidamente alla situazione
attuale: è possibile descriverle come fatto originario. Pochi lo
ricordano ma presidente del Consiglio in quello scorcio finale del 2007 è
Romano Prodi, a Palazzo Chigi da sedici mesi, a capo di una maggioranza
composta da quindici partiti. Ve li elenco tutti: Ds, Margherita,
Rifondazione Comunista, Partito dei Comunisti italiani, Socialisti
Democratici Italiani, Radicali Italiani, Italia dei Valori, Federazione
dei Verdi, Udeur, Socialisti Uniti, Democratici Cristiani Uniti, Lega
per l'Autonomia, Sinistra Democratica, Rinnovamento Italiano, Movimento
Repubblicano Europeo. Nessuno di questi partiti esiste più. Questo
perché appena vinte le primarie al grido della "vocazione maggioritaria"
del Pd Veltroni disarciona Prodi (un po’ come avrebbe fatto Renzi con
Letta nel 2013 dopo aver vinto le sue primarie), provoca le elezioni
anticipate e poi, sognando di farsi leader indiscusso all'americana
secondo l'ispirazione kennediana di una vita, non concede alle elezioni
l'apparentamento al Pd a nessun partito se non all'IdV di Di Pietro,
provocando la cancellazione immediata di tutti gli altri. Ovviamente,
poiché Kennedy bisogna nascerci e lui non lo nacque, provoca anche la
sconfitta del Pd alle elezioni politiche dell'aprile 2008 con il governo
consegnato al PdL di Silvio Berlusconi alleato con la Lega. Per la
prima volta però in Parlamento entrano solo cinque partiti: Pd, Idv,
PdL, Lega e Udc. Condizione che si riproporrà alle elezioni del 4 marzo
2018 con i cinque partiti a entrare in Parlamento che saranno Pd, M5S,
Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia.
Cosa è successo in questi
dieci anni? Che il sistema politico si è affidato a ogni formula
possibile: governo di centrodestra, tecnico di unità nazionale,
centrodestra-centrosinistra, nuovocentrodestra-Pd, gialloverde,
giallorosso. Qualsiasi formula ha ripetuto lo schema del tentare di
massimizzare dalla posizione di potere il proprio consenso politico,
allo stesso tempo annullando completamente qualsiasi procedura
democratica interna ai partiti. Insomma, i vittoriosi anticasta di quel
2007 ribollente in pochissimi anni si sono fatti casta loro stessi. Non
tanto Rizzo e Stella che dopo averli creati ora irridono i governanti
grillini (non tanto, ma anche loro). Ma guardate ai processi politici:
se i quindici partiti della maggioranza prodiana del 2007 erano
certamente pletorici (ma a loro modo rappresentativi di molte diverse
sfumature culturali presenti nel Paese) ora si è arrivati ai partiti
senza politica e per questo capaci soltanto di badare ai propri
immediati interessi. Il M5S è una satrapia coperta dalla foglia di fico
dei voti su Rousseau, la Lega ha aperto una crisi di governo senza
riunire alcun organo di partito per decisione di un singolo al mare, il
Pd ha tenuto due linee opposte sulla crisi di governo cambiandole alla
bisogna riunendo formalmente la direzione ma impedendo qualsiasi
dibattito tra i componenti della stessa, Renzi ha condotto il Pd verso
la maggioranza per poi fare una scissione per essere certo di aver un
partito di cui essere satrapo, Berlusconi lo è da sempre in Forza Italia
e non mi risultano riunioni di organi di Fratelli d'Italia. Se nel 2007
Grillo tuonava contro i partiti che non rappresentavano più nessuno (ma
erano molti, con uno straccio di democrazia interna, oltre che
rappresentativi di diverse aree culturali del Paese) l'obiettivo che è
riuscito a conseguire nel combinato disposto con i plebiscitarismi
veltroniani è pochissimi partiti, non contendibili, in cui alla fine
decidono tutto dieci persone. E in più decidono male.
Sì,
decidono tutti male: aumentano la spesa, il deficit, inseguono ricette
di cortissimo respiro che abbiano effetti elettorali immediati, che non
producono alcuna crescita. Non sorprende dunque che il principale
effetto di dodici anni di anticastismo sia stato l'aumento del debito
pubblico da 1.602 a 2.409 miliardi di euro, 50% secco in più, 807
miliardi di euro di ulteriori buffi senza che la vita concreta delle
persone sia cambiata in meglio, senza che il Paese abbia imboccato la
via della crescita.
Gli anticasta sono stati la disgrazia
dell'Italia, i tre fatti originari del 2007 sono tre fatti da maledire
nelle loro conseguenze e da maledire è questa vittoria da loro
conseguita e non a caso da tutti loro votata: una vittoria disonorata
dai fatti. Raccontare agli italiani che "ci sarà un miliardo di euro di
risparmio in dieci anni" è il consueto metodo degli anticasta di usare i
numeri per fare impressione (copyright Rizzo and Stella) per non dire
la verità: con il taglio dei parlamentari si risparmieranno cento
milioni di euro l'anno, cioè niente, ma si manderà un messaggio
pesantissimo. Perché tagliarne solo un terzo? Se il tema è il risparmio,
perché non tagliarne due terzi o tagliarli del tutto, chiuderli 'sti
inutilissimi rami del Parlamento? Agli anticasta che si sono fatti casta
piacerebbe tantissimo, già propongono di imporre il vincolo di mandato
agli eletti, già fanno firmare fogli con penali salate per chi sgarra,
cioè per chi dissente. Deve decidere il capo e gli altri giù a pigiare
bottoni senza ragionare: lo vorrebbero Di Maio, Salvini, Renzi,
Zingaretti, Berlusconi, Meloni, Conte e senza eccezione alcuna.
Noi
del Popolo della Famiglia nella nostra festa-assemblea nazionale durata
tre giorni abbiamo capito quanto rilevante sia, invece, il lavoro che è
confronto, le commissioni che approfondiscono i temi, il dibattito
libero, la leadership contendibile tanto che l'attuale leader neanche sa
se si ricandida al congresso nazionale di marzo, insomma quella cosa
bella e complicata che si chiama democrazia. Che può essere anche
democrazia diretta e non rappresentativa, a patto però che la democrazia
diretta non diventi la foglia di fico, il paravento dietro cui si
nasconde la decisione di uno solo.
Ecco, per ora gli anticasta si
sono caratterizzati per questo: violentissimi contro la casta perché
volevano farsi casta loro stessi, in più abrogando tutte le forme di
democrazia interna che almeno i vecchi partiti avevano. Così facendo gli
esiti, oltre ad essere malsani, diventano pure grotteschi e l'Italia
assiste alle arlecchinate del premier che si dichiara orgogliosamente
"populista" che nel 2018 aveva il piano B con il ministro Savona (e
Borghi e Bagnai) per uscire dall'euro, che diventa nel 2019 "europeista"
e tranquillizzatore di potentati vari. Questo carnevale dei gialli che
si spartiscono le poltrone coi verdi e l'anno dopo con i rossi, dopo
aver giurato in campagna elettorale che non avrebbero fatto alleanze con
nessuno, disonora i gialli e i verdi e i rossi. Non a caso votano tutti
insieme per il taglio dei parlamentari, per potere cantare vittoria.
Ma
è una vittoria disonorata: l'onore s'è perso in dodici anni di parole a
cui hanno fatto seguito solo fatti indecorosi oltre che scelte
profondamente sbagliate che hanno avuto per stella polare sempre
l'interesse di parte e mai il bene comune.